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Pino Vicario e Federico Zeri: così diversi, così uguali

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Quaderni della Valle del Fitalia anno 2018

Sabato 24 agosto 2019, si è svolta, alla presenza del Presidente della Banca di Credito Cooperativo di Longi, dott. Luigi Fabio, e degli autori, la presentazione dell’edizione 2018 dei Quaderni della Valle del Fitalia. Si tratta di una rivista storica che si propone l’obiettivo di conservare la memoria delle tradizioni nebroidee, non solo per tramandarle ai posteri, ma anche perchè le nuove generazioni sappiano trarre, in maniera mirata e consapevole, le ricche opportunità di sviluppo economico e turistico del territorio. Questo progetto, lanciato anni fa dallo scrittore e storico galatese Salvatore P. Vicario, medico personale dello storico dell’arte Federico Zeri, è sostenuto dalla Fondazione della BCC e si avvale del contributo letterario volontario di autori vari, fra storici, scienziati, pubblicisti ruotanti intorno alla Valle del Fitalia.


Il Dottore e il Professore

La bellezza salverà il mondo, diceva Dostoevskij. È l’ultima frase che Pino Vicario mi disse al telefono il 24 dicembre del 2018. Ma, aggiunse con il suo consueto acume, per riconoscerla bisogna avere due buoni occhi. 

Pino possedeva quello sguardo, quella capacità di riconoscere il bello delle cose. Conoscenza, infatti, significa anche riconoscimento del valore delle cose, e riconoscenza, ovvero restituzione di quanto avuto in dono dalla vita, per una causa, un progetto, un’idea e Pino conosceva tutte le accezioni del termine.

Quanto ne sappiamo noi oggi di questa bellezza? Chi amministra la cosa pubblica è capace di riconoscerla in questi termini? Uno dei primi tentativi fu fatto il 20 aprile 1773 a Venezia, quando il Consiglio dei Dieci deliberava la formazione di un «catalogo in cui a luogo per luogo stanno descritti li quadri». Seguirono percorsi individuali, ma supportati dalle istituzioni statali, il più famoso dei quali resta quello del Cavalcaselle, autore del catalogo delle opere d’arte ecclesiastiche delle Marche e dell’Umbria del 1861. Con notevole ritardo, nel 1964, la commissione Franceschini lanciava l’allarme della necessità della salvaguardia delle cose antiche aventi valore di civiltà. Nel 1969 nasceva l’Istituto centrale del catalogo, un’opera più che incompiuta, ancora oggi.

Ma ci sono stati tentativi privati di rilievo di tutela dei beni culturali?

Sì, basterebbe ricordare lo sforzo del critico d’arte Federico Zeri di comporre un ordinatissimo archivio fotografico di ben 290.000 opere d’arte, operazione che non ha precedenti nella storia dell’arte. Pino Vicario ha seguito da vicino, per trent’anni, questo sovrumano percorso.

Mi ha sempre incuriosito questo rapporto tra il medico Pino Vicario e lo storico dell’arte Federico Zeri, tanto da domandarmi come abbiano fatto due uomini con profili caratteriali così diversi, quasi opposti, ad andare d’accordo per più di trent’anni.

Mi direte: semplice rapporto professionale, Vicario era il medico curante di Zeri. Io dico che non deve essere stato facile essere il medico di Zeri l’irriverente, l’istrionico, lo scorbutico. Lo storico dell’arte che ha subito l’ostracismo del mondo accademico, come tanti altri comunque meno dotati di lui (Guzzi, Marchiori, Bellonzi, Tassi, Assunto…). E se Pino c’è riuscito deve aver avuto altre carte da giocare oltre al suo sudatissimo titolo di dottore.

Solo dopo una lunga frequentazione, anche telefonica, ho potuto constatare come a giocare un ruolo importante in tutto questo sia stata la grande umiltà di Pino, il suo sapersi collocare con voce sommessa, lo sguardo sereno e la parola giusta al momento giusto.

Ma ancora non può bastare: ed è lo stesso Zeri a suggerirmi la soluzione. Pino era dotato di grande prestanza atletica, era un camminatore infaticabile e, come tale, utilissimo nelle fasi di ricerca di reperti archeologici, di scorci di paesaggi rilevati nei quadri per ricostruzioni filologiche e toponomastiche.

Ci sono diversi modi di fare cultura: scrivere libri, ad esempio, o organizzare convegni, mostre, esposizioni. Ma prima della valorizzazione, della promozione e della fruizione del bene culturale, esiste la tutela dello stesso. Zeri e Vicario dedicarono tutta la loro vita alla tutela del patrimonio culturale.

Posso con certezza affermare (la figlia Eleonora ne conserva le prove) che Pino faceva parte di quella schiera di validi collaboratori che aiutava Zeri nelle sue fatiche di critico d’arte, come il restauratore Pico Cellini (che aveva la licenza elementare ma era espertissimo nell’individuare falsi) e gli storici dell’arte Gianni Mazzoni e Marco Bona Castellotti. Solo che Pino aveva una frequentazione giornaliera con Zeri, annotava i colloqui del suo illustre paziente e ne andava registrando la viva voce. Alla fervente mente di Pino non era sfuggita l’importanza culturale della dimensione raggiunta dalla fototeca di Zeri, uno strumento di lavoro, di raccolta e, di conseguenza, di lettura del patrimonio artistico italiano (e non solo). Zeri stesso affermava che, senza, non avrebbe potuto esercitare la sua professione di trustee a pieno.  

Cosicché anche il dottore Vicario, lentamente e silenziosamente, per più di trent’anni realizzò il suo archivio personale, fatto di libri, periodici, registrazioni. Tutto ritagliato intorno alla figura di Zeri, tutto da tramandare ai posteri. 

Il suo obiettivo? Diffondere il metodo Zeri. è con questo presupposto che fonda un’associazione per la salvaguardia del patrimonio artistico, architettonico e ambientale di Mentana, che poi è il patrimonio culturale della nazione, insieme a Zeri. Pino ne è il presidente. Cosa si vuole salvaguardare principalmente? 

  1. Il patrimonio Zeri: si tratta della raccolta di reperti, di opere d’arte e di foto creata dallo storico dell’arte Federico Zeri nel corso della sua vita. Una serie di oggetti archeologici (mosaici di Antiochia, sculture di Palmyra, marmi romani), destinati dallo studioso agli eredi e a importanti istituzioni museali: Musei Vaticani, Accademia di Francia a Roma, Museo Poldi Pezzoli di Milano, Accademia Carrara di Bergamo. La collezione di epigrafi, in particolare, conta ben 400 pezzi, migliaia fra quadri e sculture, una Biblioteca d’arte di 46.000 volumi, 37.000 cataloghi d’asta, 60 periodici e la Fototeca con 290.000 fotografie di opere d’arte catalogate con cura.
  2. Il pensiero di Zeri: per questo non servivano sedi, né strutture particolari. Serviva capitale umano. Il frutto di questa esperienza fu esportato nei suoi luoghi di origine: i Nebrodi. Qui l’idea era formare un gruppo di giovani studiosi ricercatori che valorizzassero il patrimonio storico e culturale del territorio. Li riunì intorno ai Quaderni della Valle del Fitalia (ex Quaderni Mamertini) insieme alla validissima e insostituibile collaborazione di Gino Fabio, instancabile presidente della Fondazione della Banca di Credito Cooperativo della Valle del Fitalia. Costruire un modello esportabile, capace di assorbire le migliaia di studenti coinvolti a diverso titolo nel settore dell’arte, secondo percorsi virtuosi, slegati dal «sistema». Quel sistema che ancora inserisce artisti, critici e storici come ai tempi del mercante d’arte Ambroise Vollard tramite mostre o musei. Musei che, ancora oggi, sono impostati secondo il modello ottocentesco, basato essenzialmente sull’estetica, sull’antiquaria. Mentre, con la quantità di contenuti oggi disponibili, si potrebbe ricostruire il contesto storico e il tessuto sociale in cui quelle opere d’arte si sono formate, liberi dal modello borghese-capitalistico-edonistico senza altre finalità che il recinto intorno a sè. Gli artisti, invece, potrebbero puntare al decoro urbano. Bisognerebbe limitare le mostre, insomma, e aprire i cantieri.

Pino si era posto l’obiettivo di consegnare ai posteri l’uomo Zeri e la sua cultura straripante, nella speranza che qualche altro fosse capace di raccoglierne la pesante eredità. Ricordo la meraviglia nei suoi occhi quando gli dissi di essere uno storico archivista paleografo. Il giorno dopo mi fece trovare una pen drive con circa 150 file di atti notarili seicenteschi su Galati Mamertino da consultare e tradurre. C’era lo storia inedita dei Lo Squiglio, dei Tortoreti e degli Amato in quegli atti. Storia inserita nel suo ultimo libro su Galati Mamertino. A tal proposito non bisogna dimenticare che si preoccupò di far arrivare ben due corposi finanziamenti per il restauro della facciata del palazzo del Principe e per la creazione delle guide multimediali di Galati Mamertino.

Come finirono questi progetti? Grazie all’intercessione della studiosa Anna Ottani Cavina, testimoniata dalla laurea ad honorem in Storia dell’arte conferita il 6 febbraio 1998 dal Rettore Fabio Roversi Monaco (comunque successiva a quella di accademico delle belle arti di Francia, assegnatagli nel 1997), Federico Zeri lasciò tutto all’Università di Bologna con testamento datato 29 settembre 1998. La stessa Università, nel 1999, costituì la Fondazione Federico Zeri riconosciuta dal Ministero per i Beni e le Attività culturali il 12 settembre 2000, presidente il Rettore Fabio Roversi Monaco (oggi Francesco Ubertini). Di lì a poco, l’intero patrimonio fu trasferito a Bologna, presso il convento rinascimentale di Santa Cristina, al numero 2 di piazzetta Giorgio Morandi. Ecco il punto: il trasferimento non era compreso nel testamento di Zeri, che avrebbe voluto sì che l’Università bolognese gestisse la sua fototeca e i suoi libri, ma necessariamente nel territorio di Mentana. Il tradimento fu ad opera della stessa Ottani Cavina, di Andrea Bacchi, direttore della Fondazione Zeri, e del nuovo rettore Pier Ugo Calzolari. Il fondo Zeri, infatti, da venti anni, costituisce (e costituirà per molto tempo) la fortuna e la forza della carriera universitaria di un gruppo ristretto di docenti.

L’intuizione di Pino fu giusta: pensate a quanti fondi oggi sta intercettando l’Università di Bologna grazie al patrimonio Zeri. L’ultima acquisizione riguarda il fondo Everett Fahy, consistente in 8.000 fotografie dello storico dell’arte americano studioso della pittura del rinascimento fiorentino, che saranno catalogate e messe online entro il 2020.

Galati, inoltre, sempre tramite Pino Vicario, ha beneficiato della mancata realizzazione del museo di Mentana. Quest’ultimo, infatti, avrebbe dovuto accogliere anche una scuola di alta specializzazione in storia dell’arte dedicata allo storico dell’arte Giovanni Battista Cavalcaselle, l’unica nel suo genere in Italia, che si sarebbe servita di quel patrimonio altrettanto unico messo a disposizione da Federico Zeri. Non solo: Zeri e Pino avevano chiesto e ottenuto da Giulio Einaudi una donazione di libri per la biblioteca della scuola. Ne arrivarono di costosi, tutti attinenti al mondo della storia dell’arte, roba da collezionisti. Questi libri, nel numero di duemila, furono poi donati alla biblioteca di Galati Mamertino.

Da un fallimento, una risorsa, diceva Pino, che comunque non si arrese: attraverso il social network di Facebook dal 2015 ricordava questa triste vicenda tutta italiana, postando le sue lettere inviate al Comune di Mentana e al Ministero dei BBCC. Una battaglia durata cinquanta anni.

In che cosa consisteva questa battaglia, viste le chiare disposizioni testamentarie di Zeri? Nel cercare di non perdere quello che era rimasto: la Villa di Mentana con il Lapidario Zeri, una raccolta di epigrafi dal valore inestimabile che popolano i dieci ettari di terreno a giardino e piantagioni. Insomma, Bologna e i suoi caporioni universitari non mantenevano la promessa fatta, cioè quella di salvaguardare il patrimonio artistico e culturale che fu di Zeri e che Zeri stesso aveva messo a disposizione del grande pubblico, con un’idea promossa e gestita insieme a Pino Vicario. 

Il momento culminante di tutta questa vicenda coincide con la clamorosa messa in vendita della villa Zeri di Mentana, da parte dell’università di Bologna, per 2,4 milioni di euro. Alla notizia diffusa da Pino attraverso il web, interviene anche lo storico dell’arte Tomaso Montanari, che, sulle pagine de La Repubblica del 5 gennaio 2018, denunciava la piaga italiana associandola al destino di Palazzo Chigi Farnese di Roma o dell’Ospedale degli innocenti di Bologna; chiudeva l’articolo con un’espressione tipica di Zeri: meno male che Napoleone ha fatto razzia di opere d’arte in Italia, perché gli italiani avrebbero distrutto anche quelle oggi tenute al Louvre.

Gli antichi Romani sostenevano che ogni territorio, con il suo paesaggio, fosse protetto da un particolare nume tutelare, chiamato Genius Loci. Pino Vicario è sicuramente un genius loci di Galati Mamertino, così come Zeri lo è di Roma e di Mentana.

Con questo profilo Pino si è avvicinato ai suoi studi e alla gente vecchia e nuova che ha conosciuto, con un progetto di riscatto sociale aperto a tutti, secondo il concetto di condivisione appreso dalle tradizioni contadine che lo hanno preceduto. Un atto d’amore. Un dono.

Una missione da medico. Perché per trecento anni (dal Rinascimento in poi) i dottori in medicina non si sono occupati solo del corpo umano, ma anche della salute della Terra, sono stati i primi archeologi, sismologi, geologi, ambientalisti, storici dell’arte. Hanno indagato il passato dell’uomo per salvarlo dal degrado, tramite la contemplazione della bellezza in chiave scientifica. Insieme ai pochissimi scienziati dell’epoca, come Leonardo da Vinci, di cui ricorre l’anniversario di 500 anni dalla sua morte, descrivevano la terra come «carne», le piante come «anima vegetativa», i sassi che compongono le montagne come «ossi», le vene delle acque come il suo «sangue»: «il lago del sangue, che sta intorno al core, è il mare oceano; il suo alitare […] è il flusso e riflusso del mare; e il caldo dell’anima del mondo è il fuoco ch’è infuso per la terra» (L. Da Vinci, Codice Leicester, c. 34r).

I terremoti, per esempio, erano ritenuti la conseguenza dell’invecchiamento della Terra e i loro vapori velenosi causa di malesseri e malattie, come vertigini, nausea, infezioni e epidemie. Finché non arrivarono Pasteur e Koch, che, con la scoperta della microbiologia, aiutarono la scienza a superare queste credenze.

Tuttavia, la sensibilità di alcuni medici verso il nostro pianeta e il loro approccio filantropico permangono ancora oggi. Pino non si è mai sottratto a questo compito: anche la Terra ha un’anima, sembra affermare nella sua raccolta «Foglia son io», poesie d’amore dedicate alla moglie Elena nel 25esimo anno del loro anniversario di matrimonio, che hanno il sapore leggero delle liriche di Umberto Saba. Per non parlare delle sue pubblicazioni storiche: Colle del Forno. Una necropoli tutta maschile (2017), Ciarle di un vecchio medico curioso. Sessantacinque anni di democrazia folle (2013), Da Chala’ad a Galati Mamertino (2012), Trattamento zeta (2009), Fonte Nuova entra nella storia. Con il saggio “Tra Nomentum e Ficulea”. Il territorio (2004), Monterotondo in Sabina, Nomentum, Lamentana, Mentana, Il territorio Falisco-Capenate (2000), La via Nomentana – La route Nomentana – The Nomentana way. Escursione storico – artistica nell’estremo lembo della bassa sabina (1988), Arte a Galati Mamertino nel XVII e XVIII secolo (1973), Mentana: Cavalcata su tre millenni! (1967).

Finito? Pino non finisce mai di stupirci e ha voluto lasciare un’ultima traccia letteraria di sé anche dopo la sua scomparsa: Il Dottore racconta il Professore, il libro che avrebbe voluto scrivere da sempre, un pamphlet che ricostruisce la storia dell’arte italiana, attraverso i suoi protagonisti, le scelte delle politiche culturali e le loro trame, attraverso due «occhi buoni»: quello di Federico Zeri, storico dell’arte al quale era particolarmente devoto, e quello suo personalissimo.

Pensate che eredità ci ha lasciato. Per questo non possiamo fare altro che ringraziarlo, per tutto ciò che ha saputo donarci, con la sua umanità, la sua passione, la sua generosità e le sue numerose pagine di descrizione della bellezza che ci circonda e che continua a vivere in noi.

Dario De Pasquale


Il libro di Pino Vicario su Federico Zeri: le inedite conversazioni con il noto critico d’arte e le sue affilatissime invettive

Il Dottore racconta il Professore

Conversazioni confidenziali con Federico Zeri

160 pagine; foto a colori; stampa su carta patinata; copertina con alette; ricca bibliografia; indice dei nomi.



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2 commenti su “Pino Vicario e Federico Zeri: così diversi, così uguali”

  1. “Il Dottore racconta il Professore” è un libro bellissimo, carico di affetto e stima intellettuale profonda, maturata in decenni di frequentazione fra due protagonisti della cultura, di cui uno, Zeri, di levatura mondiale. Questo volume rende testimonianza viva e diretta di questa amicizia, essendo ricavato dalle registrazioni autorizzate delle conversazioni fra i due e, in questo senso, è un anche un libro doloroso, poiché dà una volta di più la misura dello scempio del paesaggio e dei beni culturali italiani sino all’ultimo difesi dal grande Federico in tante battaglie, ma anche dal dottor Vicario, che poco prima della scomparsa ha voluto con quest’ultima fatica rendere un omaggio estremo a un uomo che giustamente godeva della stima sua come sicuramente di tante istituzioni straniere, visto che a livello nazionale e locale, persino post mortem gli è stata negata l’intitolazione di una piazza o di una via nella stessa Mentana. Insomma, un libro da leggere e su cui riflettere.
    Un grazie a Sikelia Edizioni per questa bella pubblicazione.

    1. Gentilissimo Luca, grazie infinite per questo commento particolarmente sentito, da sensibilissimo estimatore dell’arte e di chi, pur tra mille difficoltà, ne ha difeso i sempre più trascurati valori, come Federico Zeri e Pino Vicario.

      A mille lettori come te, è l’augurio che facciamo a noi; mentre l’augurio che facciamo a te è di mantenere sempre questa visione pura e critica, allo stesso tempo, della vita e degli uomini.
      Grazie.

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