Velluti, merletti, frange, tinte unite o decorate con trame damascate o floreali, inserti in pelliccia, sete, trasparenze, mantelle con alamari, ecco gli abiti che la Marchesa Emanuela, borghesemente appellata «la signora», sceglieva di farsi realizzare dalle sue sartorie preferite.
La Belle Époque messinese
La immaginiamo muoversi elegante nei simposi o nelle serate di gala organizzate dai principi romani (la nonna era stata dama di compagnia della regina Margherita di Savoia), tra calici e tartine, avvolta in un abito della sartoria Sacerdote in seta con decorazioni cucite a mano. È slanciata, snella, dai tratti somatici raffinati la marchesa di Cassibile, e presso la propria casa sita in Piazza Duomo a Messina passano i grandi nomi dell’aristocrazia non solo messinese ma anche siciliana: i Florio, i Trabia e i Ventimiglia di Palermo, i Whitaker di Trapani, gli Asmundo di Catania, gli Avati di Napoli. Messina è un’iniziale e importante passerella del jet-set internazionale: qui si trovano importanti imprenditori europei da più di una generazione (Sarauw, Jaeger, Sanderson, Barrett, solo per citarne alcuni). La sua pratica di moda comincia qui, a contatto con le sartorie Magno, Principato, Poligatti, Corsaro, Bella, Sollima con i loro negozi siti in via Pianellari e nei collegi, dove si pratica l’arte sartoriale. Questi alacri mercanti sarti importano stoffe e abiti da tutte le capitali d’Europa, d’altra parte devono accontentare un pubblico vasto, fatto di messinesi, inglesi, danesi, olandesi, svedesi, tedeschi, russi.
Piccola biografia di Maria Emanuela
Maria Emanuela nasce a Messina nel 1891 da Gaetano Pulejo, ventottenne possidente e imprenditore nel ramo agricolo, non ancora marchese di Cassibile, e dalla ventenne Giovanna Patanè Giorgianni dei Baroni di San Martino, che la istruiscono nel culto della bellezza e della parsimonia. Immersa nella Belle Époque messinese, Emanuela cresce con grandi speranze negli occhi, speranze che dovrà di lì a poco mettere da parte per assistere agli orrori del sisma del 28 dicembre 1908.
Vive nel fulgore dei suoi diciassette anni e sta per preparare i vestiti per la festa della madre, che proprio quel giorno infausto avrebbe dovuto festeggiare i suoi 38 anni. Invece, Maria Emanuela si ritrova orfana di madre e di padre in un colpo solo, affidata alle cure dei parenti superstiti.
Finiti gli studi, dopo aver girato l’Europa, decide di dismettere i panni aristocratici di Marchesa per intraprendere la sfida di imprenditrice agricola: e con quale grinta porta avanti gli affari di famiglia, istruendo il contado, incrementando la produzione e vincendo la battaglia fascista del grano, portando un impianto idroelettrico a Cavagrande (Sr), dando internazionalità, grazie ai suoi contatti e ai suoi continui viaggi per l’Italia, a quello storico lembo di terra in provincia di Siracusa, che fu tanto caro agli Arabi per fertilità e produttività. Alla fine della Prima Guerra Mondiale sposa l’ufficiale polacco Giorgio Gutkowski, incontrato in uno dei suoi viaggi in Russia.
Da Cassibile di Siracusa a Roma, tra commercio, arte e moda
In inverno, fa tappa fissa a Roma, dove studia storia dell’arte e gode di un’ufficiale residenza presso un palazzo vicino Piazza di Spagna, da dove controlla gli ordini del suo mercato agricolo e i flussi di vino, olio e mandorle per l’Italia e la Germania.
Al contempo, da lì partono gli ordini di imbastiture di vestiti alla moda, da lei stessa disegnati e ricercati nelle stoffe e nelle decorazioni. Fra gli anni ’30 e i ’50 ha quattro sarte a sua disposizione: Agnese Fontana di Roma, Alda Turchi di Cassibile, Carmela Scarcella di Siracusa, Maria Ruggeri di Torino. La maggior parte delle volte si reca presso i loro atelier a farsi prendere le misure e a provare gli abiti, altre volte ordina a distanza per sé e per la giovane figlia Diana.
Sceglie quasi sempre lane lavorate per l’inverno e sete damascate per l’estate, ama i merletti, i veli e le trasparenze; ha una passione sconfinata per il velluto, specie di colore rosso. Per il diciottesimo compleanno della figlia Diana (1948) sceglie proprio un vestito di velluto rosso, dopo averne selezionato personalmente la stoffa a Roma e averla inviata alla sartoria Sacerdote a Torino.
Torino capitale della moda
Perché Torino? Perché da Torino si propagavano gli echi della moda italiana e francese grazie ad alcune intuizioni di mercanti sarti che, per primi, ad esempio, portano dalla Francia i pantaloni femminili nel 1911. Da allora, è un pullulare di sartorie, fino al grande successo degli anni ’30 grazie alle Sorelle Costa, Gori, La Merveilleuse, Sanet…e degli anni ’40 e ’50 con le sartorie Pozzi e Sacerdote. Si tratta di abiti indossati dall’alta borghesia torinese. Nel 1946, a un anno dall’uscita dalla guerra, Torino organizza la prima Mostra Nazionale dell’arte della moda e si auto-promuove come capitale della moda europea, seconda solo a Parigi.
Emanuela, che è sempre alla ricerca del meglio, decide di esplorare le sartorie di una città dove, però, ha pochi punti di riferimento e si affida prima a Sacerdote (che esiste sin dai primi anni del secolo) e poi a una delle loro sarte, Maria Ruggeri.
Oltre all’annuale tappa romana, la Marchesa a fine agosto alloggia presso l’Hotel Miramonti di Cortina, dove non manca di sfoggiare i suoi preziosi abiti e di acquistare scarpe in pelle bianca presso un tal Ruben Demenego.
Un mondo che finirà alla sua scomparsa, quale strascico di un gattopardesco passato, avvenuta nel 1974.
Scarica il Book-Trailer de “I Marchesi di Cassibile” (Per accedere alla risorsa gratuita, registrati o effettua il Login cliccando qui.): è gratis!
- Per conoscere tutte le fasi del processo e il suo mirabolante epilogo finale vedi:
I Marchesi di Cassibile. Mille anni di storia della casata Loffredo-Pulejo-Gutkowski.
I Marchesi di Cassibile
272 pagine; foto a colori; stampa su carta patinata; copertina con alette; ricca bibliografia; documenti in allegato; indice dei nomi.