Attraverso il saggio “I Marchesi di Cassibile”, si racconta l’epopea della famiglia dei mercanti Loffredo, il cui capostipite, sul finire del XVI secolo, si spostava da Cava dei Tirreni a Messina, superando i mille ostacoli che la storia gli poneva innanzi: lo scontro tra Cristianesimo e Islamismo (Battaglia di Lepanto), il succedersi di varie dinastie nei regni di Sicilia e di Napoli, il reazionarismo dei baroni siciliani, le rivolte popolari, le calamità naturali.
Nell’arco di questi eventi, prendevano forma il centro urbano, con i suoi palazzi e i suoi negozi, e l’entroterra agricolo, con le sue coltivazioni e le sue rivendicazioni sociali.
La storia dei Loffredo s’intreccia con quella di altre famiglie dell’aristocrazia italica travasatesi in Messina: i Galletti, i Pulejo e gli Scoppa.
Chiave di lettura dell’opera “I Marchesi di Cassibile”
La chiave di lettura principale della nostra analisi riguarda le trasformazioni patrimoniali sette-ottocentesche di nove generazioni dei suddetti clan familiari, i cui legami matrimoniali sortivano, oltre al prevedibile accrescimento dei loro patrimoni, notevoli sviluppi di rapporti commerciali, importanti consolidamenti territoriali, l’accaparramento di cariche pubbliche, una particolare gestione del prestito personale, nell’ampio tessuto geografico dei Regni di Napoli e di Sicilia.
L’obiettivo principale della ricerca, dunque, è stato verificare il peso delle attività condotte in ambito cittadino e l’importanza o meno del tradizionale modello di vita aristocratico, valutando, sulla base dei patrimoni familiari, il numero, la tipologia e l’ubicazione dei beni immobili del centro urbano abitato.
Si è considerata la ricerca della visibilità nel territorio urbano, in un periodo in cui prendono forma e sostanza le città ottocentesche, come l’indice di una ritrovata dimensione economico-sociale, al di là dell’elemento “passivo” del feudo.
L’ipotesi di partenza deriva da un’interpretazione della proprietà immobiliare urbana come base per l’affermazione socio-politico-economica del clan familiare, ancora più rilevante dopo le operazioni settecentesche di mappatura catastale effettuate dai funzionari borbonici e le rilevazioni dello studioso Giuseppe Maria Galanti.
I passi successivi mettono in rapporto la proprietà immobiliare con il valore assoluto complessivo del patrimonio, dei canoni di locazione e dei crediti, e indagano sulle eventuali connessioni fra gli attori delle obbligazioni.
Questo tipo di approccio, nel caso della famiglia Loffredo, sembra confermare la relatività del valore delle proprietà immobiliari urbane rispetto all’intero patrimonio, ma evidenzia come tali proprietà siano state strategiche ai fini del controllo sociale nel contesto urbano.
Il fatto che, di generazione in generazione, l’entità del patrimonio immobiliare dei Loffredo si sia mantenuto o di poco accresciuto rispetto alla quantità e qualità dei canoni percepiti e dei crediti contratti, ci porta ad avvalorare l’ipotesi iniziale.
Il confronto tra i destinatari dei canoni e dei crediti e le sentenze di aggiudicazione ed espropriazione dei beni immobili di Messina e provincia fra il 1820 e il 1935 ha evidenziato come la finalità principale del rapporto creditizio non fosse l’incameramento degli immobili concessi in ipoteca, ma il mantenimento dei debitori in uno stato di assoggettamento continuo, in alcuni casi vita natural durante.
Crediti e proprietà immobiliari: strategie finanziarie
Nel primo passaggio patrimoniale, tramite testamento (1728), da Matteo Loffredo al nipote Giacomo Trotta, emerge l’esigenza di mantenere attiva l’azienda di commercio di tessuti e di legare l’erede alla residenza presso la città dello Stretto, tramite il vincolo politico-religioso del rettorato della Chiesa delle Anime del Purgatorio e quello matrimoniale con la famiglia Galletti di Messina.
Dopo un trentennio di costante attività, nelle disposizioni testamentarie di Giacomo Loffredo Trotta (1761), rivolte alla figlia Anna (residente a Messina) e al nipote Silvestro (residente a Cava dei Tirreni), c’è la manifesta intenzione di tenere coeso l’asse patrimoniale, già in buona parte costituito da beni immobili (botteghe, ammezzati e magazzini), ai fini di uno sfruttamento economico-produttivo dello stesso.
Con Silvestro e Anna si assiste al passaggio dalla mercatura pura all’acquisizione di titoli nobiliari utili alla scalata sociale.
La concertazione tra la produzione agricola degli ex feudi, la mercatura, l’attività creditizia e le cariche pubbliche contribuiscono a formare una forte, intricata e moderna trama di rapporti sociali che libera i Loffredo e, dopo, anche i discendenti Pulejo, dal pericolo di una dipendenza economica dalla rendita fondiaria e che oggi ci è utile per individuare il nuovo interessante profilo del borghese proprietario terriero e imprenditore fra Sette e Ottocento.
Rimasto senza discendenti diretti, Silvestro nomina destinatario del suo patrimonio il nipote di Cava dei Tirreni, Silvestro D’Auria (1820), il quale, unendo la sua eredità a quella della moglie Giovanna Rao Corvaja, trasferisce la sua residenza a Messina.
Gli incarichi pubblici
Con Silvestro II entriamo nella fase ottocentesca del nostro percorso, caratterizzata dal mantenimento della posizione economico-sociale maturata attraverso un uso sempre più largo del prestito personale. Con la riscossione di rendite da capitale dato a prestito, anche Gaetano, erede di Silvestro II (1854) riesce a superare tutte le fasi critiche della vita economica dell’epoca, volgendole in suo favore. Alla sua morte (1897), metà del patrimonio si ricongiunge a quello dei fratelli, mentre l’altra metà, eccetto i capitali e le rendite attribuite alla moglie Maria Caterina Scoppa, va a favore dell’erede designato, il nipote Gaetano Pulejo, appartenente ad un’antica famiglia di mercanti di grani e proprietari terrieri messinesi.
Dai tessuti all’agricoltura
Gaetano è figlio dell’intraprendente Michele Pulejo, padrone indiscusso delle terre a sud del torrente Portalegni (l’attuale Via Tommaso Cannizzaro, oggi centro di Messina), destinate a colture arboree e a un’attiva industria molitoria. Refrattario alle cariche pubbliche, Michele concentra tutti i suoi sforzi e le sue risorse nell’acquisto di terreni coltivabili e trova nei Loffredo degli interessanti soci in affari, oltre che dei buoni vicini di palazzo. L’unione matrimoniale tra il Pulejo e Maria Emmanuela Loffredo, figlia di Silvestro II, sancisce la fusione di due importanti patrimoni immobiliari e l’entrata ufficiale dei Pulejo nell’alta società e nelle attività agricole della famiglia Loffredo. La professionalità di Michele porta numerose migliorie nelle terre dei marchesi Loffredo, site nelle zone di Curcuraci e Gazzi, nel messinese, e di Cassibile, nel siracusano.
Data l’importanza sempre maggiore che i Loffredo e i Pulejo riservano ai beni immobili di Messina, abbiamo ritenuto opportuno stimare la produttività non solo in base alla rendita diretta, ma anche ai vantaggi che comportava l’occupazione di un preciso spazio urbano ai fini della mercatura e del controllo territoriale, inevitabilmente complementari e favorevoli all’incremento del patrimonio.
Basti pensare al gran numero di magazzini che permette ai Loffredo di evitare gli onerosi costi di locazione per l’imbarco e lo sbarco delle merci (principalmente tessuti, vino, olio, agrumi, cereali) e agli enormi spazi offerti dai terreni dei Pulejo prossimi alle zone del porto e della stazione ferroviaria.
Gli investimenti immobiliari
La città ottocentesca che si popola, per via dell’accresciuta domanda di manodopera legata alle attività portuali e manifatturiere (piccole industrie tessili e cerealicole) e, a un altro livello, impiegatizie (pubblica amministrazione, banche, servizi), vede l’offerta di un numero sempre più insufficiente di immobili e l’accresciuta importanza dei locatori e dei prestatori abituali. Questi avvertono prontamente l’opportunità speculativa e riescono ad imporre nuove forme di dipendenza con finalità socialmente strategiche, più che economiche.
Così riusciamo a spiegare perché Silvestro II destina metà di tutto il suo patrimonio al credito, mentre il complesso dei suoi beni immobili urbani a malapena sfiora un quinto del suo valore.
Il feudo di Cassibile, posto a notevole distanza da Messina (160 km circa), rappresenta un simbolo concreto dell’elevazione sociale e della posizione di dominio raggiunta dai Loffredo nell’Isola, a conferma di una loro buona predisposizione ai viaggi e agli spostamenti (Alì, Catania, Siracusa, Palermo, Cava dei Tirreni, Napoli, Roma).
A Messina, i palazzi di rappresentanza sono il “Teatro alla Marina” e il Pistorio-Cassibile, mantenuti grazie alle attività commerciali e, per questo, non soggetti a locazioni né a parziali alienazioni, contrariamente ad altri palazzi baronali della città (Cambria, Carrozza, De Gregorio, Fiore, Grano, Mortellaro, Sindona, Spoto, Villari), attraverso i quali aveva luogo il processo di appropriazione delle più importanti proprietà immobiliari da parte dell’amministrazione comunale e dei liberi professionisti (medici, avvocati, ingegneri).
Con quest’ultimo passaggio, si determina il riassetto delle gerarchie sociali e il palazzo, simbolo del dominio della classe baronale in città, passa, con tutto il suo carico di storia e d’ostentazione, alle nuove élites liberali.
Alcuni di questi simboli si frantumano in seguito all’evento sismico del 28 dicembre 1908 o sono abbattuti per calcoli economici e nuove necessità viarie.
La continuità dei Loffredo, a Messina, viene assicurata, nel titolo, da Vincenzo, figlio di Niccolò Loffredo (fratello di Gaetano I), e, nell’attività imprenditoriale, prima da Giovan Silvestro Pulejo (succeduto al fratello Gaetano, perito tra le macerie del 1908) e poi dal genero Uberto Bonino, che gestisce la notevole dote della moglie Maria Sofia Pulejo e i mulini di Gazzi.
Dalla figlia di Gaetano Pulejo, Maria Emanuela, sopravvissuta al terremoto, discende l’ultimo proprietario dell’ex marchesato di Cassibile: Silvestro Ferdinando Loffredo Gutkowski.
Dario De Pasquale