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Agrigento: «la più bella città dei mortali»

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Per i greci Akragas, per i romani Agrigentum, per Pindaro «la più bella città dei mortali»: è Agrigento, la splendida cittadina che, con la sua Valle dei Templi, si affaccia sul canale di Sicilia.

Il panorama è imponente: i templi, il verde dei mandorli in gennaio e febbraio, il giallo-rosso della terra bruciata in estate.

La storia di Akragas è raccontata da Tucidide e affonda le sue radici nei secoli passati:

  • è la Valle delle testimonianze più antiche e prestigiose del territorio nazionale,
  • è arte e mestieri altrove scomparsi,
  • è folklore,
  • è mare lungo la spiaggia di San Leone, nei lidi di Porto Empedocle e di Secca Grande,
  • è gastronomia nei ristoranti ricchi dei prodotti del mare e della terra,
  • è animazione nei pub, nelle discoteche e nelle gelaterie che si colorano e profumano delle molte specialità siciliane, quali il gelato al gelsomino e la granita al latte di mandorla.
  • Ma è soprattutto nella vita tra i vicoli e le chiese, tra palazzi nobiliari e templi, che Agrigento offre una simultanea immersione nelle origini e nel presente, in un gioco affascinante di moderno e millenario.

La visita di Agrigento ha inizio dalla via Atenea

La via Atenea e le sue chiese, i monasteri, il labirinto e gli acquedotti sotterranei: è da questi luoghi che è preferibile iniziare il viaggio alla scoperta di Agrigento.

L’asse storico della città parte da una porta medievale demolita e ricostruita nel 1868, porta di Ponte: da qui si imbocca la vía Atenea e, subito sulla destra, ecco l’acciottolato che porta al convento e alla chiesa di Santo Spirito.

Chiesa di Santo Spirito

E’ il complesso monumentale più importante dell’Agrigento medievale. Un’abbazia dell’ordine cistercense femminile, fondata alla fine del ‘200 dall’agrigentina Marchisia Prefoglio, moglie di Federico e madre di Manfredi Chiaramonte.

La chiesa ha un portale gotico e nell’interno settecentesco un arco trionfale, Gloria della SS. Trinità con gli stucchi di Giacomo Serpotta. Il monastero è uno dei più antichi della Sicilia, ben conservato il grande chiostro quadrangolare, l’aula capitolare a grandi arcate ogivali, l’antico refettorio, gli affreschi del ‘300 e del ‘500 e, al piano superiore, il dormitorio.

L’itinerario prosegue lungo la via Atenea, toccando, a sinistra nella strada omonima, la chiesa di San Francesco d’Assisi e la chiesa di San Pietro, entrambe di orgine medievale ma ricostruite nel ‘700. Poi piazza del Purgatorio, nella parte più interna del centro storico, con la chiesa di San Lorenzo e l’ipogeo. Sotto l’imponente prospetto barocco della chiesa, in fondo alla piazza e nei pressi di un leone in pietra, si apre l’ingresso principale a uno dei più antichi ipogei: una rete sotterranea di approvvigionamento idrico, gallerie e canali serbatoi, cisterne, quasi tutti del VI secolo a.C.

Chiesa di San Domenico

Più avanti, sempre in via Atenea, ecco lo slargo irregolare di piazza Luigi Pirandello o del Municipio, con il complesso conventuale dei Domenicani (ora sede del Comune) e la facciata barocca fine ‘600 della chiesa di San Domenico, che conserva alcuni dipinti settecenteschi. All’interno dell’ex convento, con ingresso da un cortile, è possibile visitare l’ottocentesco teatro Luigi Pirandello, mentre un’escursione a parte merita la visita alla casa natale del drammaturgo premio Nobel (1867-1936), in località Villaseta, detta “il Caos”, dove le ceneri sono conservate in un cippo funerario all’ombra di un pino.

Chiesa di San Giorgio e Cattedrale

In piazza del Municipio si affaccia anche l’edificio del Museo civico. Si prosegue in direzione Cattedrale: dal Municipio si attaversano via delle Orfane e i giardini che portano a via del Barone, poi si prosegue lungo via degli Oblati, dove si incontra la chiesa di San Giorgio (XIV secolo) dal magnifico portale gotico, per arrivare a piazza Don Minzoni, quindi alla Cattedrale, posta nella parte piu alta della collina, sulla sommità di una scalinata.

Fondata alla fine dell’XI secolo dal vescovo Gerlando e rimaneggiata più volte tra il XIII e il XVII secolo, la Cattedrale ha una torre campanaria quattrocentesca e in facciata presenta una grande finestra a ornati arabo-normanni: l’interno, a tre navate, è a croce latina. Il tetto ligneo, a capriata nella parte occidentale, a cassetto-ni nella zona orientale, porta al centro, scolpito, lo stemma con aquila bicipite del re Carlo II d’Asburgo. Notevoli i dipinti, le statue e gli oggetti sacri conservati nella Cattedrale: dalla Madonna con il Bambino di Stefano Martino (1495) alla Madonna con il Bambino attribuita a Guido Reni, al Sepolcro di Gaspare De Marinis, opera di Andrea, Mancino e Giovanni Gagini (1493). E’ una cattedrale con un singolare effetto acustico: chi si pone sulla linea dell’abside ode ciò che dice chi sta sulla porta a 85 metri di distanza.

Nell’archivio è conservato un documento “maledetto”, la Lettera del diavolo, in caratteri indecifrabili, inserita in un manoscritto che racconta la vita di suor Maria Crocifissa, vissuta nel ‘600, che sarebbe la destinataria della lettera.

Palazzo Vescovile

Di fronte alla Cattedrale vi è il Museo diocesano, lesionato dalla frana del 1966, i cui reperti si trovano temporaneamente presso il Museo Archeologico. Su piazza Don Minzoni, antistante là Cattedrale, si affaccia il palazzo Vescovile con il Seminario ex Steri dei Chiaramonte. E’ stato restaurato nel ‘700 dal vescovo Lucchesi Palli, al quale si deve anche l’edificio della Biblioteca lucchesiana, dotata di oltre 60.000 volumi, codici miniati, manoscritti, incunaboli e una scaffalatura lignea del ‘600.

Chiesa di Sant’Alfonso e chiesetta di Santa Maria dei Greci

All’edilizia sacra dell’800 risale la chiesa di Sant’Alfonso, costruita tra il 1839 e il 1854, con un interno ad aula coperto da una volta a botte. Tra la Cattedrale e il Municipio vi è la chiesetta di Santa Maria dei Greci, così chiamata perché in epoca normanna fu cattedrale del clero greco.

Tra le sue strutture rimangono i ruderi di un tempio dorico, forse d’Atena. Sui muri delle navate sono ancora visibili tracce di affreschi del ‘300.


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