“Fra Otto e Novecento, il vero compagno della cucina era il forno a legna. Nessuna donna di casa ne poteva fare a meno, sia per cucinare, sia per infornare il pane.
Con la crescita dei centri abitati, i forni a legna diminuirono di numero: troppo ingombranti e fumosi per ospitarli in città. Tuttavia, c’era sempre qualcuno che, in campagna o in giardino, ne teneva uno, sufficiente per la produzione panaria destinata alla famiglia allargata di un tempo.
Fare il pane in casa era un grande risparmio. A volte, la farina arrivava grazie alla generosità di amici contadini, i coltivatori di “pezze”, terreni argillosi adibiti alla semina dei cereali. In paese funzionava ancora bene il baratto: cereali, frutta, verdura, olio, un po’ di mosto in cambio di beni o favori da parte di un artigiano o di un professionista.
Quando vennero meno i forni, il pane in casa si faceva comunque. Dopo la lavorazione, veniva stesso su una tavola e coperta di stoffa di lana in inverno e di cotone in estate.
Me lo ricordo bene, perché di solito veniva adagiato dal più piccolo della famiglia, e io, nella mia, ero l’ultimo arrivato.”
Salvatore De Pasquale
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