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Due Teatri “Vittorio Emanuele” a confronto: Messina e Noto

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Osservazioni sulle caratteristiche dei due teatri siciliani

Cominciamo dal nome: entrambi sono intitolati a Vittorio Emanuele II, quale omaggio al primo re dell’Italia unita.

La struttura architettonica, come potete osservare dalle foto allegate, è molto simile: due ordini, un portico, un complesso monumentale in cima, secondo ordine con finestre balconate. Entrambi austeri, eleganti, seguono la moda dell’epoca ispirata al neoclassicismo, uno stile architettonico regolare ed armonico, con elementi prelevati dal mondo dell’arte greca del periodo classico.

Il Teatro Vittorio Emanuele di Messina

Il teatro di Messina fu progettato dall’architetto Pietro Valente (professore della Scuola di Belle Arti di Napoli) nel 1827 e inaugurato nel 1852 col nome di Teatro S. Elisabetta (in onore della madre del re borbonico Ferdinando II). Il Valente si ispirò al Teatro della Scala di Milano, opera del 1778 di Giuseppe Piermarini. Sempre dalla relazione del Valente, ricaviamo che l’architetto volle dotare la struttura teatrale da lui progettata di nuovi ambienti quali il caffè, sale per giochi e feste da ballo, una sala da biliardo, una trattoria. Anche con queste caratteristiche, pur non essendo gigantesco, poteva disporre di 1.100 posti. Il telo del sipario fu dipinto dal pittore messinese Michele Panebianco.

Il posizionamento della struttura al centro della via Garibaldi, la via delle attività commerciali al dettaglio, dai cappellai ai sarti di moda, ma anche delle banche, chiarisce il suo rapporto diretto con la classe borghese della città.

Il Teatro Vittorio Emanuele di Noto

Il teatro di Noto (SR) fu progettato dall’architetto Francesco Sortino nel 1851 e inaugurato nel 1870. I motivi floreali che caratterizzano la facciata mettono il teatro in raccordo con la natura barocca della piazza e della città intera. Quattro gli ordini dei palchi all’interno capaci di ospitare 320 spettatori. L’impianto meccanico fu realizzato dal pittore messinese Santi Ferrara, gli affreschi dai pittori, sempre messinesi, Subba e Di Stefano.

La struttura sorge in Piazza XVI Maggio, nel cuore del centro storico, di fronte alla Chiesa di San Domenico, in posizione simmetrica rispetto al corso Vittorio Emanuele, un invito continuo per i frequentatori della cittadina.

C’è una marcata componente artistica messinese, dunque, all’interno del teatro maggiore di Noto. Quale il legame tra le due cittadine? Quali i rapporti che hanno portato due comunità distanti un paio di centinaia di chilometri ad entrare in contatto? Quale la sorte che in quel momento le ha unite? 

All’affinità ha contribuito molto la famiglia di mercanti di stoffe Loffredo, di origini campane (e da qui la scelta dell’architetto napoletano Valente), ma impiantatisi a Messina da diverse generazioni, divisi, dopo l’acquisto del marchesato di Cassibile, tra la città dello Stretto e il feudo siracusano. Furono proprio i Loffredo, amanti delle arti, a sovvenzionare la costruzione del Teatro S. Elisabetta (oggi Vittorio Emanuele) e ad occuparsi delle decorazioni, del palinsesto, della creazione di una Scuola di disegno, di pittura e di nudo presso la Regia Università di Messina con a capo Michele Panebianco, rinomato pittore messinese con studio a Roma.

Con questa ufficiale declamazione, il senatore Loffredo consacrava l’elezione dell’artista messinese Michele Panebianco a professore della Scuola di Disegno e Pittura presso l’Università di Messina:

«Vacando la scuola di disegno e pittura nella R. Università di Messina per la dimissione volontaria del prof. Letterio Subba, tenuta presente la deliberazione di questo decurionato, e le altre di cotesta commissione di pubblica istruzione, io approvando il voto decurionale e la proposta di cotesto consesso scientifico, ho risoluto che pel vantaggio della istruzione la detta scuola venga aggregata a quella del nudo, e che l’unica scuola riunita sia affidata al chiaro artista D. Michele Panebianco, il quale rimane eletto professore col soldo di ducati 175 e grana 50 annuali di netto, annessi allo art. 53 dello stato discusso comunale di Messina».

Il teatro si configurava, nella realtà urbana ottocentesca, non solo come un monumento da contemplare, ma anche come un luogo privilegiato di incontro. Universale all’esterno, esclusivo all’interno. Incastonato quasi sempre in una piazza dove le diverse tipologie di linguaggio (intellettuale e popolare) potevano incontrarsi, offrendo variegate forme di spettacolo, dentro e fuori la struttura.



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