Attratti dal nome dal forte potere evocatorio, ci si addentra all’interno di una costruzione la cui pianta spinge a percorrere un cammino obbligato.
E’ il Giardino Segreto che Francesco Venezia progettò nella seconda metà degli anni ’80 per Gibellina Nuova.
Ci si scopre dentro un piccolo edificio a cielo aperto, un giardino con muri e finestre, suddiviso in due ambienti e che appare come una casa senza il tetto. Il muro esterno, curvo, corre lungo il movimento del marciapiede e chiude i muri interni, i quali, a loro volta, sono disposti a spirale quadrata. Il percorso della spirale termina con una piccola vasca che presenta al centro un cilindro di travertino d’Alcamo, lo stesso materiale di cui si compongono i due sedili del giardino, e che contiene un velo d’acqua che copre appena l’acciottolato in un gioco di sommerso ed emerso. Due spazi inaccessibili sono, invece, adibiti alla messa a dimora di piante, proprio dove poi si aprono le finestre.
Un luogo pervaso da grande poesia e, come spesso accade a Gibellina, dalla continua testimonianza della furia distruttrice della natura, come a ricordare in ogni istante agli uomini quanto la loro esistenza sia fragile.
Cinque archi provenienti dalle macerie di Gibellina vecchia dopo il terremoto sono, infatti, perfettamente incastonati dentro i muri di arenaria gialla di Caltanissetta, di nuova formazione. Un senso di morte e distruzione bilanciato e vinto dalla forza vitale dell’acqua, in fondo al percorso.
Una poesia, oggi, purtroppo, tristemente mortificata dalle scritte sui muri e sui sedili, segno dell’inciviltà dell’uomo e dell’incuria attribuibile alle istituzioni. Un abbandono che, purtroppo, è riscontrabile in tutto il piccolo paese belicino.