Nell’articolo precedente abbiamo parlato dell’arrivo degli Hohenstaufen in Sicilia e dello Stupor Mundi, in questo parleremo dell’arrivo degli Angioini e degli Aragonesi nella lotta alla successione del trono che fu degli Hohenstaufen.
La missione di Manfredi si frantuma contro l’asse D’Angiò-Chiesa
Nel 1266 scompare Manfredi, l’eroe degli Hohenstaufen. Su questo grande re è stato nel tempo tracciato un ritratto storico controverso a causa della scarsità delle fonti. È certo però che alla mancanza di scrupoli, forse necessaria ad un regnante, Manfredi unisce quella dose di sensibilità che lo rende aperto alla cultura e all’azione diplomatica.
I suoi calcoli per raggiungere un compromesso politico sono per lo più finalizzati al mantenimento della pace, senza la quale sfugge, in ogni tempo, anche il concetto stesso di giustizia e ordine. Per questo, al di là delle contraddizioni, Manfredi viene ricordato nelle pagine della storia siciliana.
Contro Carlo d’Angiò, la Chiesa e il denaro dei guelfi soccombe il suo potere, schiacciato da un’aggregazione di uomini ed eventi troppo preponderante per una risposta vittoriosa.
Le ultime speranze nelle mani di Corradino
Dopo Manfredi, l’ultima speranza degli Hohenstaufen è il giovanissimo nipote Corradino che due anni dopo tenta di riconquistare il regno con l’appoggio delle città ghibelline: ne risulta che i siciliani si sollevano tutti tranne i cittadini di Palermo e Messina; gli Angioini stanno per essere sconfitti quando l’esercito di Corradino, in preda ad un’ insaziabile smania di bottino, si disperde lasciando in balia del nemico lo stesso comandante che viene così sconfitto nella battaglia di Tagliacozzo, fatto prigioniero, giudicato a Napoli e qui decapitato nel 1268.
Il risentimento per quest’azione inutilmente cruenta e per la delusione della riconquista straniera cova negli animi di tutto il popolo siciliano per quattordici lunghi anni. In questo periodo la maggior parte delle iniziative politiche e culturali sono dirottate verso la città di Napoli che per Carlo d’Angiò è come Palermo per Federico II: la Sicilia, dunque, non riuscendo a sopportare il peso delle “ambizioni” del nuovo re, intraprende la strada dell’opposizione e concentra la sua scelta su Pietro d’Aragona – il quale essendo marito di Costanza, figlia di Manfredi e quindi ultima discendente degli Hohenstaufen, ritiene di avere diritti sulla Sicilia.
L’avventura degli Angioini e la rivolta dei Vespri Siciliani
Il lunedì di Pasqua del 1282, nell’ora del tramonto, gli abitanti di Palermo si radunano fuori dalle sue mura. Si racconta che la scintilla della rivolta nota come Vespri siciliani è l’assassinio di un soldato francese a seguito di sue indesiderate avances verso una nobildonna.
Nella sera e per tutta la notte i palermitani setacciano la città alla ricerca dei soldati francesi: una vera e propria caccia allo straniero che si trasforma lentamente in un massacro senza discriminazione alcuna: soldati, bambini, anziani, persino donne siciliane presunte gravide dello straniero, cadono senza pietà sotto l’odio della xenofobia.
Il successo della rivoluzione popolare è sorprendente. Alcuni noti cittadini palermitani convocano una sorta di assemblea legislativa per dichiarare la città repubblica indipendente. Su questa strada iniziano a camminare bande armate per espandere la ribellione in tutta la Sicilia. In breve tempo lo straniero francese scompare e con lui la “Mala Segnoria” (Dante, Paradiso, VIII canto).
«Se mala segnoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”.»
(Dante, Divina Commedia, canto VIII del Paradiso)
Questo furore di popolo si può considerare una violenta espressione del desiderio d’indipendenza del paese. Nata come rivoluzione popolare, i Vespri diventano presto un movimento per l’autonomia municipale con il conseguente conflitto, sul piano economico, tra gruppi di baroni tedeschi e francesi, per decidere le sorti del nuovo feudalesimo.
Infine, gli Aragonesi
In questo quadro prende forma anche la lotta contro gli Angiò da parte dei catalani e dei napoletani. Protagonista in tal senso troviamo, accanto a Pietro d’Aragona, l’esiliato e nemico giurato degli angioini Giovanni da Procida.
Ripercorrere il quando e il come il dominio degli Aragonesi si impone sull’isola è cosa ardua; possiamo certamente affermare che ne è preludio la richiesta di aiuto a Pietro III il Grande, da parte di un gruppo di notabili siciliani in rivolta contro Carlo d’Angiò. Aiutato dai baroni, Pietro giunge a Trapani il 30 agosto del 1282 ed entra trionfalmente a Palermo proclamandosi re di Sicilia.
Cinzia Prestianni