I cammini dei tonni
Ci sono testi specifici sulla storia della pesca in Sicilia, ma fra tutti merita particolare rilievo il testo di Francesco Carlo D’Amico, Duca d’Ossada, proprietario delle maggiori tonnare della costa tirrenica e appassionato studioso di cultura ittica.
Il libro Osservazioni pratiche intorno alla pesca, corso e cammini de’ tonni in opposizione a quanto scrisse su tale oggetto l’avvocato Don Francesco Paolo Avolio…, nasce da una disputa letterario-scientifica contro le tesi dell’Avv. Avolio sui cammini dei tonni in Sicilia.
I tonni dei fondali del Mediterraneo
La tesi avanzata dal D’Amico si basa sulla conoscenza empirica dei percorsi compiuti dai tonni in Sicilia, nel messinese in particolare: questa tipologia di pesci non proviene annualmente dall’Atlantico, dove dovrebbe rifugiarsi nel resto dell’anno, ma dai fondali del Mediterraneo, a primavera, per dare l’avvio alla fase riproduttiva. I pesci-spada, invece, avviano questa fase tra giugno e agosto.
La terminologia che gira intorno alle tonnare, dagli operatori alle attrezzature utilizzate, ha origini turche e arabe: basti pensare al Rais, il capo ciurma delle tonnare di corso, che da tempo immemorabile percepisce per le sue prestazioni una paga corrispondente a quasi il 2% del valore dei tonni pescati in un’intera annata. Fra le tonnare siciliane ideali citate dal D’Amico risultano quelle di Oliveri (ME) e di Trabia (PA) perché ampie e ben attraversate dalle correnti. Per tradizione, si è sempre mantenuto una certa distanza tra una tonnara e l’altra, anche per consentire ai pesci di muoversi e cibarsi più comodamente.
Lo sviluppo delle tonnare nella storia
Le tonnare in Sicilia erano diffuse e già famose sin dai tempi dei Fenici-Punici e dei Greci. Lo testimoniano sia le decorazioni dei vasi sia le monete antiche che riproducono l’effige del tonno. Fino al XII secolo, chiunque in Sicilia poteva impiantare una tonnara: il diritto romano concedeva la libertà di considerare il mare come patrimonio pubblico, sfruttabile da tutti, senza che nessuno potesse vantare una benché minima proprietà. Sono gli Arabi a rivoluzionare il sistema di pesca dei tonni, ne abbiamo notizia grazie al geografo Al Idrisi (Ceuta, Marocco, 1100-1165), chiamato in causa dal re Ruggero II proprio per effettuare una mappatura completa dell’isola. Idrisi individua una quantità di tonnare attive sulla costa tirrenica, caratterizzate da un’alta produttività e specializzazione nella conservazione dei tonni (Trapani, Castellammare del Golfo, Trabia, Caronia, Oliveri, Milazzo). Con l’arrivo dei Normanni, invece, subentrava il concetto germanico del patrimonio pubblico quale patrimonio privato del sovrano. Perciò solo il sovrano normanno poteva fare concessioni circa il diritto di pesca e utilizzare il mare come un feudo da concedere in cambio di benefici feudali. Nel 1457 il Re Alfonso il Magnanimo concedeva alcune tonnare in proprietà, così da rinfrancare le casse regie. Proprio nel XV secolo, il numero delle tonnare si assestava intorno alle 30, quasi tutte disposte lungo la costa tirrenica. Nel giro di tre secoli, il numero crebbe fino alle 80 unità per poi subire un notevole calo, molto probabilmente dovuto ai nuovi sistemi di pesca delle alalunghe che intralciavano non poco la pesca dei tonni. Tra Ottocento e Novecento, le problematiche aumentarono per via della pesca a strascico e con la dinamite, pratiche dannose per l’ecosistema marino.
La caccia ai tonni
Nella fase preparatoria alla battuta di caccia, la ciurma preparava l’isola e la coda della tonnara. Il periodo più adatto era successivo al 3 maggio (giorno della Croce) e veniva detto “cruciatu“. Prima di prendere il mare tutti i pescatori recitavano un Ave Maria, un Padre Nostro e un Gloria al Padre e si avvicendavano alle barche al grido di “Evviva lu Santissimu Sacramentu!“. Anche le barche, le pietre, le reti e il mare venivano benedetti dal parroco della tonnara.
Seguivano i canti dei pescatori durante la pesca, le cialome, e, in particolare, l’aimola, che scandiva le fasi della mattanza.
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